Quaresima

La Quaresima, come evidenzia l'etimologia Latina, segna i giorni che passano dalla fine del Carnevale alla Pasqua dì Risurrezione. Quaranta è il numero che ricorre sistematicamente nella storia biblica e la Quaresima è dedicata dai Cristiani all’emulazione dei quaranta giorni di digiuno, passione e morte di Cristo. Sin dal Medioevo però, l’obbligo maggiormente sentito era l'astinenza dai cibi più golosi. Il volgo impersonava la Quaresima con una vecchia donna ossuta e vestita di nero, che faceva gran contrasto con la figura del grosso e rubicondo Carnevale. Per costringere ad osservare il digiuno era proibito ai carnaioli "salvo al sabato dopo Vespro" di vendere carne "sotto pena di multa". Addirittura durante il regno di Carlo Magno (VIII sec.) la trasgressione di mangiare carne era punita con la pena di morte. Viola è il colore che identifica i paramenti sacri della Quaresima ed è per questo motivo che il colore viola è visto dai più scaramantici come un segno di privazioni. Esempio ne sono tutt’oggi gli artisti, che in esso identificano il drappo viola del tempo di Quaresima, apposto sulla porta dei teatri per segnalarne la chiusura obbligata.
In Quaresima era imperativo mangiare di magro, la lista di cosa portare in tavola non lasciava grande scelta. Oltre alla peccaminosa carne, si doveva rinunciare al lardo, allo strutto, ai grassi animali. I latticini per lo più non erano permessi come i rossi delle uova da sostituire con "li soli bianchi".
"Esci tu, porco ghiottone, entra tu sarda salata" disponeva la morale corrente. Restavano perciò: pane comune, polenta, ortaggi, minestroni, zuppe di magro fatte di sole erbe, farinate di fagioli bianchi e pasta. Anche se le rinunce culinarie erano tante, ci si consolava con le variazioni dei cosiddetti ravioli di magro, dai tortelloni emiliani a base di erbe, fino ai sardi culingionis. In Quaresima era ammesso il pesce fresco o salato, seccato, affumicato e marinato.
Vero "companatico” della povera gente, emblema della tristezza del periodo, era l’umilissima aringa o saracca; arida e secca, ma forte di sapore e di odore, stuzzicante, stringata, economica. Doveva come dice Bertolt Brecht: “solitamente bastarne una sola per tutta la famiglia, sia che toccasse affumicata o ravvivata ai ferri.” Addirittura nelle case più povere la tenevano appesa penzoloni ai legni del soffitto, ad altezza d'uomo, per sfregarla sopra il pane perchè questo prendesse un pò di sapore.
dal sito www.taccuinistorici.it
 
 


La magra quaresima e il grasso carnevale:il contrasto tra pance vuote e pance piene.
Vito Teti. Il colore del cibo. Geografia, mito e realtà dell'alimentazione mediterranea. edizioni meltemi.
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