L’indice glicemico (IG) è un metodo per classificare gli alimenti che contengono carboidrati in base all’incremento dei valori di glicemia. Si calcola in vivo, confrontando l’incremento dei livelli di glucosio nel sangue dopo l’ingestione di una quantità predeterminata del prodotto (50g di carboidrati) rispetto all’incremento osservato dopo l’ingestione di un alimento di riferimento (glucosio o pane bianco). L'indice è espresso in termini percentuali, per esempio un valore pari a 50 significa che l'alimento innalza la glicemia ad una velocità dimezzata rispetto a quella del glucosio. Numerosi studi sostengono che un’alimentazione ricca di zuccheri semplici è associata all’insorgenza di diabete, patologie cardiovascolari e sindrome metabolica, per questo alcuni produttori riportano l'indice glicemico in etichetta (IG) per permettere ai consumatori di valutare la qualità nutrizionale del cibo. In generale, i cibi contenenti zuccheri raffinati hanno un alto indice glicemico, mentre le verdure e i legumi e gli alimenti ricchi di fibre tendono ad avere un indice glicemico più basso. Un ruolo importante è senza dubbio attribuito alla natura dei carboidrati presenti nell’alimento e al contenuto e alla composizione in fibre vegetali. Un altro indice interessante è il carico glicemico, un valore ottenuto moltiplicando l'indice glicemico per la quantità di carboidrati presenti nell'alimento. Entrambi gli indici sono importanti nelle patologie come il diabete e obesità dove bisogna controllare i valori di glicemia e dell’insulina postprandiale. L’interesse dell'IG è però confermato anche dalla scelta di paesi come l'Inghilterra e l'Australia che invitano i produttori a riportare questo valore nell’etichetta nutrizionale per indicare che un alimento ha un basso indice glicemico (es. la catena di supermercati Tesco in Inghilterra, oppure GI Symbol in Australia nella foto una confezione di cereali Kellog's venduti in Australia che evidenziano sulla confezione il ridotto indice glicemico: Low GI. |