Monitoraggio dei servizi di refezione scolastica nei maggiori comuni italiani

Diffuso oggi il “Monitoraggio dei servizi di refezione scolastica nei maggiori comuni italiani”, mentre prosegue “Allarme Infanzia”, la campagna di Save the Children che denuncia il furto di futuro ai danni delle nuove generazioni ( www.allarmeinfanzia.it).

Paese che vai, mensa che trovi. Su 36 comuni presi in esame[1], dal nord al sud Italia, relativamente ai servizi di refezione scolastica degli asili, scuole primarie di primo e secondo grado, non c’è un comune uguale all’altro e una mensa uguale all’altra. Un servizio pasti dunque “a macchia di leopardo” - con requisiti per l’accesso, riduzioni o esenzioni dalle rette che variano da città a città - è quello che emerge dal “Monitoraggio dei servizi di refezione scolastica nei maggiori comuni italiani”[2], diffuso oggi da Save the Children, nell’ambito di “Allarme Infanzia”, la campagna attraverso la quale, fino al 5 giugno, l’Organizzazione darà voce al “furto di futuro” in corso ai danni di milioni di bambini, adolescenti e giovani in Italia (per aderire: www.allarmeinfanzia.it).

“A troppi bambini oggi viene a mancare la possibilità di mangiare a scuola, insieme ai propri compagni, a causa di criteri di accesso al servizio di refezione molto restrittivi e che finiscono per essere stigmatizzanti e umilianti nei confronti proprio di quei bambini che hanno maggiore bisogno di aiuto. La realtà conferma quanto stiamo veicolando attraverso la creatività della campagna Allarme Infanzia, con una delle sagome di bambine (si veda immagine al link in calce al comunicato, ndr) che dice Mi hanno rubato la mensa a scuola. In un Paese dove il 35% dei genitori dichiara di aver dovuto ridurre la spesa alimentare[3], stiamo privando proprio i bambini più a rischio di un supporto fondamentale per la loro alimentazione e la loro crescita sana”, commenta Raffaela Milano, Direttore dei Programmi Italia-Europa Save the Children Italia.

“ Le differenze di trattamento tra città e città sono abissali. Non è giusto che un bambino che vive in una città anziché in un’altra debba trovarsi in situazioni opposte: accolto a mensa anche quando la sua famiglia non riesce a garantire il pagamento della retta, in alcuni comuni, o al contrario costretto a mangiarsi un panino, magari relegato in una stanza a parte, in altre città. ”, prosegue Raffaela Milano

Il puzzle dei requisiti per essere ammessi a mensa
In Comuni come Parma o Palermo per esempio l’esenzione dal pagamento della quota di contribuzione al servizio non è prevista in alcun caso. In altri comuni, pur essendo prevista, non sono omogenei né i criteri né la soglia di accesso: si va da un tetto ISEE[4] di 0 Euro a Perugia ad un tetto ISEE di 8.000,00 Euro a Potenza; inoltre alcune città prevedono l’esenzione per famiglie appartenenti a categorie particolarmente svantaggiate, come i rifugiati politici a Genova o i nuclei di origine rom a Lecce. Rispetto al quantum della contribuzione si registrano differenziali consistenti da città a città, fino ad arrivare al caso in cui a Napolila tariffa massima mensile di 68,00 Euro (con un ISEE superiore a 18.750,00 Euro) è in ogni caso più bassa della tariffa minima mensile di 66,50 E richiesta Brescia (con un ISEE inferiore a 16.840,00 Euro).

Tra quelli mappati, solo 5 Comuni - Verona, Parma, Pisa, Bari, Sassari - hanno attivato delle misure di sostegno all’impoverimento delle famiglie legato o alla numerosità dei figli o alla perdita del posto di lavoro.

In 11 comuni - Brescia, Adro, Udine, Padova, Verone, Pescara, Perugia, Pisa, L’Aquila, Campobasso, Lecce - si segnalano inoltre alcune cattive prassi, come la richiesta del requisito della residenza per l’accesso all’esenzione o alla riduzione della contribuzione.

“La richiesta di questo requisito, secondo una ormai copiosa giurisprudenza, riveste il carattere della discriminazione indiretta a danno soprattutto di cittadini stranieri anche se poi, a farne le spese, sono anche bambini italiani di famiglie che risiedono nei paesi limitrofi al comune dove vanno a scuola”, sottolinea Antonella Inverno, Responsabile Area Legale di Save the Children Italia. A Brescia, per esempio, i non residenti pagano la retta più alta: 136,80 euro mensili.

Un’altra prassi rilevata in diversi comuni italiani è l’esclusione dal servizio di refezione dei bambini in caso di morosità dei genitori. Tra i comuni monitorati si segnalano ad esempio Brescia, Ancona, Salerno e Palermo.

“In questo modo le eventuali responsabilità degli adulti vengono scaricate sui bambini”, commenta ancora Raffaela Milano. “E’ certamente giusto chiedere conto a quei genitori che approfittano di agevolazioni senza averne la necessità, ma la rivalsa nei confronti degli insolventi può essere fatta in altre forme, senza coinvolgere i bambini. . Diciamo no a rappresaglie sui bambini”.

E un’analisi più ampia viene riservata da Save the Children ai Comuni di Brescia e Vigevano che si segnalano per la compresenza di una serie di misure che, sommate, colpiscono proprio i bambini più svantaggiati.

“Sia a Brescia che a Vigevano non è prevista esenzione dalla contribuzione, fatte salve le famiglie segnalate dai servizi sociali. In particolare a Brescia la quota minima mensile per il servizio è di 66,50 ”, spiega ancora Antonella Inverno. “I non residenti sono tenuti al pagamento della quota massima, che è di 136,80 E mensili e i bambini dei genitori morosi vengono esclusi dall’accesso alla mensa”.

Nel caso di Vigevano, i bambini figli di genitori non in regola con le rette, sono stati collocati in una stanza separata dove consumare il pranzo portato da casa.

“L'esclusione dal servizio di mensa scolastica e la condizione di separazione imposta agli alunni durante il tempo dedicato al pasto violano alcuni articoli della Convenzione sui Diritti dell'Infanzia e dell’Adolescenza e di altri accordi internazionali sottoscritti dall'Italia, in particolare per quanto riguarda il diritto alla salute e all'istruzione”, spiega ancora Antonella Inverno. ”.

“Per ogni bambino, il momento del pasto a mensa è importante e significativo”, sottolinea Raffaela Milano, Direttore Programmi Italia-Europa Save the Children. “Un pasto di qualità consumato a scuola è uno strumento fondamentale di contrasto alla povertà minorile. In un paese dove 720mila minori sono in condizione di povertà assoluta, è fondamentale garantire un’alimentazione corretta a tutti i bambini, almeno una volta al giorno. La mensa, inoltre, è un’occasione di convivialità, di integrazione tra culture diverse e di educazione alimentare. Ricordiamo infine che nel nostro Paese il tasso di dispersione scolastica è alle stelle -un ragazzo su cinque non va oltre il diploma di terza media- e il pasto a scuola può rappresentare anche un forte incentivo per l’apertura pomeridiana delle scuole”.

Per tutti questi motivi, Save the Children chiede che tutte le scuole, a partire da quelle dei territori più svantaggiati, siano dotate di una sala mensa dove poter condividere il pranzo, garantendo l’accesso gratuito e non discriminatorio al servizio alle fasce più deboli. E’ necessario poi estendere a tutti i comuni una misura anticrisi elementare come quella di consentire a chi ha perso il lavoro di modificare la sua fascia di contribuzione alla mensa, senza basarsi sui redditi dell’anno precedente.

“Sono anni che si aspetta la definizione dei “Livelli essenziali di assistenza” per i minori, da garantire su tutto il territorio italiano, senza distinzioni territoriali”, conclude Raffaela Milano . “La nostra richiesta al Governo è di partire da qui, facendo in modo che l’accesso gratuito alla mensa scolastica diventi un diritto garantito per tutti i bambini che in Italia sono in condizioni di povertà assoluta”.

Ufficio Stampa Save the Children
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Pedia Admin,
25 mag 2013, 11:44
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